Storytelling: quando raccontare è una scienza. Dai poemi del passato al digital storytelling: viaggio attraverso la “scienza del racconto” guidati da Andrea Fontana, il più rilevante esperto di narrazione d’impresa.
Lo storytelling, cioè l’arte del narrare, è parte integrante del nostro DNA.
Sin dall’Antichità, infatti, l’uomo ha avvertito il bisogno di usare la forma narrativa del racconto per comunicare, educare, trasmettere valori sociali e religiosi e condividere le proprie esperienze.
I racconti, infatti, sono in grado di far breccia nel cuore del pubblico molto di più di altre forme di comunicazione ed è per questo che, anche oggi, nel mondo digitale si usa parlare di digital storytelling, per definire l’organizzazione coerente dei contenuti selezionati sul web ( immagini, audio, video, testi, mappe) in una forma narrativa che segue quella della storia e del racconto.
La forza del digital storytelling è quello di combinare il fascino della comunicazione narrativa alla ricchezza e varietà di stimoli e significati: nello stesso “racconto” si intrecciano diversi formati, eventi, personaggi e codici che danno alla narrazione diversi livelli di lettura e di significato.
Questa tecnica, per la sua versatilità, trova posto nella didattica, nel giornalismo, nel marketing, nella comunicazione commerciale e persino nella politica.
Per capire meglio le origini e le applicazioni dello storytelling abbiamo chiesto aiuto al pioniere della materia: Andrea Fontana, colui che alla fine degli Anni ’90 ha aperto il dibattito teorico e operativo sul Corporate Storytelling ed oggi è considerato il più rilevante esperto di Narrazione d’impresa nel nostro Paese; consulente d’impresa e fondatore di Storyfactory, la prima società italiana di consulenza narrativa, oggi insegna anche allo Iulm di Milano e all’Università di Pavia.
1- Oggi si parla molto di storytelling, ma di cosa si tratta esattamente?
Lo storytelling è una scienza e uno strumento per raccontare eventi reali o fittizi attraverso parole, immagini, suoni. È uno strumento attraverso che unisce contenuti, emozioni, intenzionalità e i contesti e per questo dà vita ad una comunicazione molto efficace.
La storia raccontata ha una connotazione emotiva molto forte: le persone si sentono fortemente coinvolte e questo le spinge a dare un significato di ogni atto che viene descritto.
2- E’ vero che questa tecnica esiste da sempre?
In parte, nel senso che la narrazione è un modo in cui pensiamo e da questo punto di vista è sempre esistita come modello e/o tecnica, tuttavia, solo recentemente, lo storytelling è stato decodificato in un corpus molto ampio e articolato di discipline, che prendono il nome di scienze della narrazione (di cui lo storytelling è una piccola parte).
3- Quali sono le “regole” da rispettare per uno storytelling di successo?
Le regole si apprendono studiando e praticando e frequentando i corsi professionalizzanti che in Italia stanno nascendo. Ne cito due: all’Università IULM dove ho avuto modo – grazie al supporto del Master Marpi – di far nascere da qualche tempo il primo corso di specializzazione in storytelling.
E all’Università di Pavia dove ho avuto la possibilità – insieme ad altri colleghi – di creare recentemente il primo Master Universitario in Scienze della Narrazione applicato al Marketing e alla Comunicazione.
Credo molto nella istituzionalizzazione della disciplina e per questo sono personalmente impegnato a diffonderla in modo scientifico, sistematico e certificante.
Non c’è storia: per lo storytelling esistono delle regole che vanno apprese.
Per rispondere in modo sintetico e a spot, direi che bisogna unire “me”, “you” e “now”; cioè creare dei racconti in cui il nostro interlocutore (you) possa rispecchiarsi con noi (me) rispetto a questioni chiave del nostro tempo (now) nella risoluzione di un problema o un conflitto.
4- Dove viene usato più spesso (nei social media, nei blog, nelle pubblicità….)?
Devo dire che oggi viene usato un po’ ovunque, spesso per mancanza di competenze se ne abusa pure.
In ogni caso, dal mio punto di vista le applicazioni più dirette sono dappertutto, visto che il racconto è diventato una meta-piattaforma di conversazione.
Oggi, cioè, nel momento in cui comunichiamo con qualcuno, per diverse ragioni sociologiche e storiche, stiamo automaticamente narrando.
Applicazioni si vedono nella comunicazione mainstream (TV, stampa, radio), nel web e nei social media, nell’advertising, nel consumo, nell’economia e nella politica… con la questione problematica della post-verità.
5-Che cosa intende per post- verità?
È un concetto complesso ed oggi molto dibattuto sui media e anche dal mondo giornalistico. Partiamo da un considerazione “filosofica e metafisica”: la verità è un concetto ali limiti del paradosso, perché implica un’accettazione consensuale di alcuni assunti e, al tempo stesso, una cornice di senso, cioè un contesto in cui si colloca.
Non solo. Talvolta è qualcosa di oggettivo, strettamente verificabile, e altre volte invece è qualcosa di più “intangibile”, dotato di un significato profondo, a discapito della logica, della ragione … è un processo piuttosto complesso perché si tratta di far convivere con due piani diametralmente opposti: da un lato, la mente empirica e dall’altra, un’attitudine più ”assoluta”.
Il momento storico in cui viviamo, definito non a caso NARRATIVE-AGE, è dominato da questa dicotomia: puntiamo sulla verità come fatto verificabile, ma al contempo la nostra vita talvolta richiede di aderire alla verità come significato consensuale totale, anche in modo indipendente dai fatti.
È un cambio di prospettiva e l’adozione di una mente narrativa.
6- Ci può fare qualche esempio?
Al di là dei molti esempi che si possono prendere dalla scena politica italiana e internazionale, non ultima la campagna elettorale Hillary Clinton – Trump tutta giocata sulla lotta tra “verità come fatto” e verità come “significato polarizzato”, gran parte delle conversazioni sui social media si basa sul rimando a contenuti non verificati e non verificabili, ma non per questo meno impattanti o credibili.
Pensiamo anche a molti format televisivi ed editoriali di successo degli ultimi anni, dal docu-reality al romanzo-verità, dove il confine tra verità e racconto è sottilissimo e proprio per questo di grande successo.
7- Lei ha riportato l’esempio di un caso recentissimo di uso di storytelling in politica: la campagna elettorale Clinton- Trump. In realtà, loro due non sono stati i primi politici che ne hanno fatto uso, vero?
Sì, esatto. In politica è dai tempi di Kennedy che si usa. In particolare modo l’approccio sistemico e scientifico alla comunicazione politica narrativa è nato negli States e poi si è diffuso.
Da noi è arrivato nel ’94 con Berlusconi, e poi Renzi e Grillo ne hanno fatto e ne stanno facendo largo uso. Il problema è la competenza con cui si adoperano certe metodologie e le finalità.
Addirittura oggi viene usato nelle geo-politiche con il tema delle cosiddette “Battle of Narrative”. A questo proposito segnalo una mia piccola riflessione fatta per una rivista militare che si è occupata del tema (per leggere l’articolo, clicca qui).