Erode la solidarietà tra le generazioni, provoca danni psicologici e sociali nonchè importanti svantaggi alle persone anziane.
Parliamo di ageismo, termine che si riferisce agli stereotipi e pregiudizi che abbiamo o mettiamo in atto nei confronti delle persone esclusivamente per via della loro età matura, utilizzata per classificarle, discriminarle e isolarle.
Un tema di cui si occupata anche l’Organizzazione mondiale della Sanità, che lo scorso anno ha presentato il Rapporto globale sull’ageismo come parte della Strategia globale e del Piano d’azione per l’invecchiamento attivo e in salute previsto per tutto il decennio dell’invecchiamento sano (2021-2030).
Il recente congresso dell’Associazione italiana di Psicogeriatria tenutosi lo scorso maggio a Firenze, ha puntato i riflettori sul fenomeno, in particolare sulla diffusa di presa di distanza e la scarsa considerazione che dopo una certa et, isola uomini e donne in campo sanitario, quello che dovrebbe averne più cura.
“Esiste da tempo un ageismo istituzionalizzato – afferma il professore Diego De Leo, presidente dell’Aip: si manda in pensione in base all’età e non a capacità diminuite, o al contrario non si assume una persona capace perché troppo anziana”.
Un patrimonio di saperi e competenze che si disperde per sempre e che potrebbe invece essere recuperato, con reciproco vantaggio, affiancando al medico in via di pensionamento un giovane specializzando cui trasferire la propria esperienza. Una buona prassi che darebbe un senso a chi se ne va e aggiungerebbe valore umano, oltre che professionale, al bagaglio di conoscenze di chi raccoglie il testimone.
“La nostra società esprime troppo spesso disistima per gli anziani – un tempo ritenuti depositari di saggezza – provocando la loro autosvalutazione e la conseguente epidemia sociale della solitudine diffusa” – continua De Leo. Come conseguenza, si ammalano con maggiore frequenza diventando un peso per la sanità, che mette in atto innumerevoli tentativi per non garantire loro piena assistenza sanitaria e risparmiare sulle cure: non sono più persone produttive…sta qui il pregiudizio di fondo.”
“La discriminazione a volte viaggia dietro lo schermo della loro fragilità, ambito complesso di cui non tutti sentono di potersi fare carico – conclude De Leo. Fondamentale sarebbe l’ascolto, una pratica che manca nella medicina moderna: gli anziani arrivano al medico convinti che nessuno li ascolterà.”
Sta a noi scardinare questa convinzione, restituire loro il valore umano che meritano, sorprenderli ascoltandoli davvero.
Fonte parziale: Fondazione Veronesi