Ipsos Flair racconta le storie e i cambiamenti in atto nel nostro Paese. L’ultima edizione mostra un quadro di disillusione di fronte alle tante “promesse mancate”. A cominciare dalla democrazia dei social.
È da poco uscita la settimana edizione di Ipsos Flair, la pubblicazione annuale di Ipsos che racconta le storie, i cambiamenti e le sfide in atto.
Quella di Ipsos non è una pubblicazione come tante, ma l’indicatore del sentiment del nostro Paese: che cosa sta accadendo in Italia? Come vive la gente i mutamenti economici, politici e sociali in atto?
Ipsos contestualizza aspettative, turbamenti, disillusioni grazie alla visione prospettica e all’ osservazione della realtà nella sua totalità: il soggetto è chiamato in causa come cittadino, ma anche come elettore, spettatore, lavoratore, venditore, lettore e questo offre una visione d’insieme dei vari pezzi del puzzle.
Che cosa emerge, dunque, dalla nuova edizione di Ipsos Flair?
La prima considerazione riguarda la realtà in cui viviamo: sfaccettata, ambivalente, individualizzata.
La democrazia auspicata dai social e dal world wide web si è rivelata un’utopia e così accade il paradosso: la globalizzazione porta all’individualismo, in cui ciascuno diventa la misura della realtà in cui vive.
Il soggetto si ritaglia uno spazio tutto per sé, una comfort zone – fisica e psicologica- nella quale rifugiarsi, e il rapporto con l’altro si fa conflittuale.
La seconda, invece, riguarda le marche: dopo le promesse mancate della politica e della globalizzazione, la marca i torna ad essere un punto di riferimento.
I soggetti che avevano funzione sociale, come la politica e le rappresentanze intermedie, hanno fallito il loro compito e gli individui trovano conforto nella marca, portatrice di valori e di un vissuto raccontato dal marketing sotto forma di storia (non è un caso che si parli, appunto, di storytelling).
Gli elementi su cui riflettere sono tanti, come si evince da questa breve introduzione, e sicuramente non esauribili in un’intervista, tuttavia può essere estremamente utile chiedere il supporto di uno specialista, come il Dott. Luca Comodo, Group Director Public Affairs Ipsos, per avere una chiave interpretativa di questi dati.
1 – Quali sono le considerazioni principali che si possono fare alla luce dei risultati pubblicati nella nuova edizione di Ipsos Flair?
Sostanzialmente possiamo dire che gli italiani (ma non solo loro) tendono a difendersi dalla realtà che li circonda. Una realtà che i cittadini vivono come un’aggressione. Aggressione esterna, portato di fattori esogeni o percepiti come tali.
La globalizzazione che si trasforma da favola ad incubo. L’Europa che doveva portarci a destini luminosi e invece si rivela sostanzialmente incapace di rispondere alle prime emergenze, pesantemente divisa e percepita come aggrappata solo a regole di bilancio che stanno penalizzando i paesi del Sud e l’Italia in particolare.
La crisi economica, prodotta dalla finanza e gravata dalla difficoltà delle banche, che ha seriamente peggiorato le condizioni di vita di una parte importante degli italiani e impoverito una fetta di ceto medio producendo anche una progressiva revoca in dubbio dei meccanismi democratici.
E ancora, i flussi migratori che provocano reazioni sempre più incattivite, difficili da controllare.
E fattori endogeni, primo fra tutti il tema della difficoltà della politica a farsi carico delle sofferenze sociali. In sostanza è stato questo il segnale mandato dal voto referendario. I ceti più esposti alla crisi, i segmenti del ceto medio che si impoveriscono, le realtà periferiche, hanno votato no.
2- E così accade il paradosso: il soggetto si crea una comfort-zone nella quale rifugiarsi…
Esatto. Per difenderci, per non soccombere in questa società sovracomunicata, disarticolata, dobbiamo crearci una piccola (o grande) bolla, nella quale accomodarci.
Ritagliandoci i pezzi di realtà che più si confanno alle nostre attese e alle nostre convinzioni, che più si attagliano al nostro stile di vita.
Negando anche aspetti importanti del reale e del sociale, dalla scienza alla cronaca, dalla socialità alla religione. È il fenomeno dell’individualizzazione e dell’omofilia, la ricerca del simile e la negazione del diverso. È una strategia difensiva più che adattativa.
3- Perché, in questo clima di incertezza, le marche assumono un importante ruolo sociale e politico?
Perché cade la capacità della politica di fungere da strumento di trasmissione di valori unificanti, il cemento che tiene insieme una comunità.
È un prodotto della profonda trasformazione sociale che vede la scomparsa delle classi e forse anche dei ceti sociali, che registra un processo sempre più esteso di frammentazione sociale.
È in corso una nuova ‘rivoluzione industriale’ che produce precarietà (il software che secondo alcuni sta ‘mangiando’ il mercato del lavoro, la robotica, ecc.) in un contesto di crescita delle disuguaglianze e di riduzione progressiva del ruolo delle forze intermedie che da strumenti fondamentali di coesione sociale diventano sempre più strutture di servizio.
In questo processo sono coinvolte anche le marche che sempre più giocano un ruolo politico e sociale. Veicoli di valori, punti di riferimento, ma anche compagni di strada, amici o nemici.
4- In che modo le marche diventano strumento di trasmissione di valori?
Diventano veicolo di valori, di punti di vista…La comunicazione sembra sempre più accompagnare cambiamenti culturali. Con al centro, sempre, la liberazione delle spinte individuali in una realtà non etichettabile.
Basti ricordare le comunicazioni di Barbie (le bambine possono essere ciò che vogliono), di Skoda (quello che posso lo voglio), di Ikea (sorprenditi ogni giorno).
Con un dato però da considerare: le marche saranno sempre più sottoposte alle turbolenze, come la politica. Perché appunto hanno sempre più un ruolo politico. Anche la fedeltà di marca tenderà a sfarinarsi, come il radicamento per la politica.
5- E’ un fenomeno che interessa di più i giovani o è trasversale?
È certamente un processo trasversale, che riguarda tutti. Ma, indubbiamente, è più forte nei giovani. Anche perché i giovani sono cresciuti in un contesto in cui la politica contava poco, a differenza delle generazioni precedenti. E sono così più disponibili a recepire (ma anche a respingere) le comunicazioni che vengono dai brand.
6- Secondo lei, i social hanno in qualche modo influenzato il processo di individualizzazione?
Il proliferare delle fonti, l’onda d’urto del web e dei social, producono sempre più ‘fattoidi’ cui ciascuno crede, più o meno liberamente. Basti pensare che negli ultimi mesi della campagna per le presidenziali negli Stati Uniti i fake nei social hanno prevalso sulle notizie vere.
Ne dà conto Il Sole 24 Ore nel supplemento Nova del 17 novembre 2016, riportando i dati di una ricerca di Buzzsumo.
Aspetto centrale è la cosiddetta omofilia del web. La Rete non è riuscita a diventare (se non, ancora una volta, per segmenti di élite) la promessa agorà, la nuova piazza democratica. Al contrario l’uso della rete tende a enfatizzare le proprie opinioni, e sulla rete si va alla ricerca del simile. Spesso non valutando, appunto, l’attendibilità delle notizie che i social network veicolano, anzi dando credito a quelle che supportano le proprie convinzioni indipendentemente dalla loro fondatezza.
Accanto a questo i Social danno l’impressione della ‘direttezza’, cioè del fatto che io posso rivolgermi direttamente al potente di turno, al leader, per esprimere le mie opinioni.
Le strutture intermedie di organizzazione e rappresentazione dei bisogni e degli interessi non servono più, sono uno strumento obsoleto. È il rapporto uno a uno.
Infine il web produce una superfetazione delle fonti: una massa di informazioni vasta in cui si fa fatica a navigare. E, in assenza di autorità che aiutino a districare la matassa, a mettere in rilievo ciò che è importante, cioè appunto a fare dibattito critico, il cittadino sceglie in base alle proprie propensioni. Non solo, tende a scomparire lo spessore storico, tutte le notizie, tutti i dati sono presenti nello stesso momento. Qualcuno parla appunto di ‘presentismo’, di perdita della memoria.
In questo senso c’è un ruolo importante dei social nel processo di individualizzazione. Che poi ne siano la causa o piuttosto un epifenomeno, è da discutere.
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